giovedì 9 febbraio 2012

Zigulì. Una storia bella e terribile




Ad incuriosirmi, un articolo del Corriere della Sera online. Lo lessi in maniera superficiale, ma mi rimase in testa l'idea di un padre che racconta la disabilità del figlio in maniera dura, disincantata, cinica.

Così ho letto il libro “Zigulì. La mia vita dolceamara con un figlio disabile”, di Massimo Verga. L'opera di Verga, è autobiografica, centrato sul rapporto con il figlio Moreno, cerebroleso.

E' una storia terribile.

Le pagine buttano la disperazione di un padre con un figlio, che può solo peggiorare. Le difficoltà, le tensioni, la paura del futuro (dove il bambino dovrà appoggiarsi ai suoi due fratelli) si alternano ai momenti in cui si stacca, ci si anestetizza (forse) col cinismo.

Infatti, lo stesso titolo è ispirato ai problemi di Moreno: “...perché lui non può vedere e ha il cervello grande come una Zigulì...” che spesso divorano l'autore: “Quando urli così non ho scelta. O ti sbatto in camera e chiudo la porta, oppure ti prendo a sberle. Quasi sempre finisci in camera. La ritengo una conquista”. Nessuno sconto anche dal lato fisico: “Odori per lo più sgradevoli, sapori che mi hanno fatto vomitare, immagini che i miei occhi non avrebbero voluto vedere”.  L'onestà dell'uomo è quasi troppo eloquente: "Moreno incarna l'idea del figlio che nessuno vorrebbe avere".

Non è sempre facile leggere, e prendere atto di una realtà al limite del sopportabile, dove la sofferenza è palpabile. I tentativi di sdrammatizzare, con rimandi alle disavventure dell'Inter, funzionano poco perché, come ammette Verga, “come dico sempre, da zero a dieci, continuo a essere incazzato undici”.

Ma è una bella storia. 

E' bella perché la forma invoglia la lettura e, soprattutto, perchè il contenuto e' REALE, senza censure ed abbellimenti. La situazione italiana tende a presentare la sofferenza, il dolore e la malattia come qualcosa di positivo, la cura di un disabile grave come un momento di gioia.

Il libro spazza via le ipocrisie, le favolette e gli auto-convincimenti: la cura di un familiare disabile grave ti divora, ti colpisce con problemi quotidiani, dove le sconfitte sono laceranti e le vittorie sono limitate, rari momenti di gioia, come “Quella fotografia che non mi abbandona mai, quella che ci ritrae quando ci rotoliamo su un prato, mentre ce ne fottiamo del mondo che se ne fotte di noi”.

E dove l'amore è qualcosa di delicato è difficile, in quanto "Con Moreno è come camminare in un prato pieno di margherite: non sai dove mettere i piedi, per paura di schiacciarle".

Si dice che un libro sia valido che lascia qualcosa: allora, Zigulì ha sicuramente qualcosa da dare, anche se il “qualcosa” non è per forza piacevole.



Massimiliano Verga, “Zigulì. La mia vita dolceamara con un figlio disabile”, Mondadori 2012


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