domenica 19 febbraio 2012

Philip Roth: sgradevole, controverso, molto bravo



Di recente, Einaudi ha pubblicato per la terza volta “Goodbye, Columbus e cinque racconti”, opera di Philip Roth.

Roth e scrittore abile e premiato (la solita Wikipedia fornisce il palmares) ma poco amato. Suo peccato originale, descrivere senza pietà l'alta borghesia ebraica.

Come un medico, Roth prende il soggetto (gli ebrei americani di classe media) e lo seziona, portando a galla problemi irrisolti come il conflitto tra identità religiosa e civile, i rapporti con la politica, l'oscillare tra voglia d'integrazione e desiderio d'affermazione.

Si prenda ad esempio “Goodbye, Columbus”.

Come prevedibile, è una storia di ebrei. Neil Klugman è un laureato della Rutgers University con un lavoro da bibliotecario. Klugman incontra Brenda Patmkin: anche lei è ebrea, ma di famiglia ricca. Come prevedibile, la famiglia di lei non accetta un fidanzato povero e dalla prospettiva sociale modesta. La storia rivela così il lato oscuro dei borghesi ebrei americani: a parole tolleranti, aperti cosmopoliti, nei fatti amanti del denaro e pronti a disprezzare chi vedono inferiore.

Se “Goodbye, Columbus” è un fioretto, il racconto che fa guadagnare a Roth il soprannome di “Ebreo che odio gli ebrei” è un altro. 
Nel testo un soldato ebreo cerca di evitare la chiamata alle armi tirando in ballo una comunione di fede col sergente Marx suo diretto superiore. Una valanga di temi caldi: la guerra, la religione, il comunismo e, su tutti, un ebreo (il soldato bugiardo), “Furbastro e disonesto”. Abbastanza per suscitare la reazione degli ebrei americani.

Perchè Roth è bravo, ma non è per tutti. Leggerlo è un viaggio non semplice né gradevole anche se il mezzo di trasporto (il linguaggio) è un inglese raffinato, non privo di umorismo e d'ironia.




Philip Roth, “Goodbye, Columbus e cinque racconti”, 247 pagine, Einaudi 2012

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