giovedì 1 marzo 2012

Rosso, giallo, blu: il colore fa gusto e salute


Da sempre l'uomo ha visto i colori non solo come decorazioni, ma come come modo per influenzare la realtà.

I guerrieri si tingono il volto, sperando che il colore aumenti la forza e li difenda dai colpi dei nemici.
Sacerdoti, sciamani e preti scelgono la tinta giusta per entrare in comunione con le forse esoteriche e spirituali.
Le stesse donne moderne, quando si truccano per uscire, cercando di “incantare” il loro uomo ideale.
Ma l'effetto dei colori non è magia, è scienza.

Per capirlo, è utile leggere”ColorPower”, scritto dall'architetto Mariella D'Amico.
Particolarmente interessante è la sezione sui colori. In sintesi, produttori e professionisti dell'alimentare usano il colore per indirizzare i gusti del pubblico.

Ad esempio, il verde chiaro è sinonimo di freschezza, quindi va bene per le bevande leggere.

Il rosso incita a mangiare in fretta, e viene così impiegato nei fast food. Ad esso è legata anche un'idea di freschezza, questo il motivo delle luci colorate di macellerie e strutture alimentari.

Arancione chiaro, lavanda e giallo ispirano vitalità e sensazioni positive: sono perciò impiegati (specie in dolci e merendine) mentre il verde marcio, con la sua idee di decadenza e tristezza, è praticamente assente. 

I colori possono essere medici: ad ognuno di loro è legato un disturbo. Allora, chi soffre di carenza di appetito deve darsi ai cibi giallo-arancio, mentre i mangiatori compulsivi si appoggino a quelli blu-viola.

In generale, i cibi più sani sono frutta e verdura (niente d'innovativo, eh?) di colore bianca, gialla, ossa, verde e blu-viola: tanti antiossidanti e fitochimici benefici.



Mariella D'Amico,"ColorPower. Come puoi migliorare salute, relazioni e lavoro con il giusto utilizzo dei colori", Editore L'Età dell'Acquario 2012, 202 p., ill., brossura, 17 Euro

domenica 26 febbraio 2012

Cosa mettiamo in tavola? Le ricette proibite di gatto, cicogna, porcospino



In tavola troviamo carne di volpe alla brace, arrosto di cicogna o stracotto d'asino. O magari un porcospino al sugo, o il ragù di corvo od il gatto in umido. Per chiudere, magari cigno con le arance?

Questi i piatti di “Ricette proibite. Rane, asini, rondinotti, gatti e tartarughe nella tradizione alimentare”, scritto da Tebaldo Lorini ed edito da Sarnus.

L'autore colpisce al cuore con una semplice domanda “Chi ha detto che certi animali si possono mangiare ed altri no?”. Ovvio, la legge e quello che vi sta dietro, cioè le convinzioni degli uomini.

Gli italiani di una volta, più a contatto con la natura e più ruspanti (detto più chiaramente: più poveri) non avevano problemi a discriminare tra un gatto ed un maiale: entrambi commestibili, entrambi da mangiare. Il fatto che l'italiano moderno consideri certe ricette tabu è influenza della legge o, il cambiare dei punti di vista o, detto con cinismo, l'ipocrisia. In fondo, mangiare carne di gatto o carne di maiale non è troppo diverso: alla base vi è una creatura vivente, che muore soffrendo per fornire del cibo

Tanto per essere chiaro: chi scrive è un carnivoro che proprio a mezzogiorno si è pappato ravioli con ripieno di carne. Non voglio fare il maestrino di nessuno. Chiusa parentesi morale.

Perciò, il libro agisce da strumento di riflessione, facendo osservare come anche gli usi e costumi della tavola non siano scritti nella pietra, ma questione di tempi, luoghi, idee.
Ma, prima di tutto, il libro è un manuale di cucina: 50 ricette proibite, descritte passo passo e comprensive dei disegni di Marta Matti. Che il gusto del proibito sia davvero irresistibile?

Tebaldo Lorini, "Ricette proibite. Rane, asini, rondinotti, gatti e tartarughe nella tradizione alimentare", Sarnus 2012, 88 pp. Ill., 10 Euro

sabato 25 febbraio 2012

Di violazione in violazione: il libro di Alessandra Sarchi


Le regole del vivere civile e della legge scardinate dal desiderio senza freni di realizzazione e successo.

Una vita severa ed appagante che nasconde segreti oscuri e malvagi.

Questi sono i due temi, legati a doppio filo e presenti, in Violazione di Alessandra Sarchi.
Violazione è composta di tre storie che (ancora il meccanismo della scatola cinese) entrano una nell'altra.

Tutto, come nel miglior domestic horror, inizia in maniera molto promettente. Linda, Alberto e figli sono una famiglia che vuole lasciare la caotica Bologna senza però allontanarsi troppo dalla città. L'obiettivo sembra essere realizzato da Primo Draghi: la sua tenuta I Cinque Pini è molto vicina alla città, ma tanto casa di campagna grazie a coltivazioni ed allevamento biologico.

Tuttavia, il marcio viene a galla: Alberto scopre come la tenuta sia illegale, realizzata abusivamente su un'area protetta. Alberto però non fa niente, soprattutto non modifica la sua decisione. Ecco allora che si verifica un evento drammatico che sconvolge la vita dei protagonisti.

Il mondo descritto dalla Sarchi è una savana, un terreno di caccia a malapena tenuto da regole e convenzioni speciali. Quando questa cornice si sgretola viene fuori il contenuto: se Primo Draghi è un arrampicatore senza scrupoli, il “bravo” Alberto non ha problemi a violare la legge per il suo interesse.

 E' un sistema di equilibri precari, dove il terreno neutro (educazioni e regole) viene via via eroso dall'interesse, dall'avidità, dalla voglia di sopraffare. Ecco allora che l'equilibrio scoppia e l'ultima violazione (da qui il titolo del libro) distrugge qualunque ipotesi di ordine.


Alessandra Sarchi, “Violazione”, Einaudi 2012, 271 p., brossura

venerdì 24 febbraio 2012

Uccelli da preda. Salgari moderno (o gran artigianato)


Africa, 1500. Sir Francis Courteney ed il figlio Hal sono due corsari, che per ordine del re Carlo II d'Inghilterra attaccano gli olandesi sui mari. Hal ha 17 ma conosce benissimo la navigazione ha un carisma naturale ed è stato addestrato al combattimento da Aboli, schiavo negro liberato dal padre e quasi un secondo padre per lui. Durante una battaglia, gli inglesi catturano la De Standvastigheid, una nave della Compagnia Olandese delle Indie Orientali: il carico viene requisito ed i notabili a bordo presi in ostaggio. Tra loro, spiccano il Governatore del Capo di Buona Speranza, il grasso e vecchio Petrus van de Velde, la moglie Katinka (giovane, bella, lussuriosa e sadica), ed il colonnello Cornelius Schreuder, spadaccino micidiale.

Vincitori e vinti si spostano ella baia dell'Elefante, una baia naturale sulle coste dell'Africa, sconosciuta ai più, dove Sir Francis nasconde il suo bottino di guerra. Una volta arrivati, Sir Francis ed i suoi marinai respingono l'attacco del Lord Angus Cochran conte di Coumbrae, formale loro alleato ma pronto a tradirli.

Proprio Lord Angus si dirige al Capo di Buona Speranza, possedimento olandese. Qui incontra in maniera rocambolesca il colonnello Schreuder, da cui apprende la fine della guerra con l'Inghilterra. Grazie alle sue conoscenza ed al supporto del militare, Angus organizza una spedizione contro la base di sir Il pirata ed i suoi compagni vengono processati: sir Hal rifiuta di rivelare l'ubicazione del bottino, e viene torturato a morte. Il figlio Hal ed i pirati bianchi sono condannati ai lavori forzati, mente i neri sono venduti come schiavi.

 Durante gli anni di prigionia, Hal matura: diviene fisicamente e moralmente il capitano de facto della ciurma e conosce il prigioniero Althuda, la cui sorella è fondamentale per la fuga e che in seguito diventerà sua amante.

Hal, gli schiavi liberati ed i pirati attraversano l'Africa, per arrivare via terra alla baia dell'Elefante.
Qui ritrovano Lord Cumbrae e la sua nave, insieme alla Golden Bough, nave da corsa sottratta con l'inganno al legittimo comandante della nave. Hal ed i suoi conquistano la nave e, dopo alcune avventure, fanno rotta verso l'Africa. Il regno cristiano del Prete Gianni in Etiopia è attaccato dai musulmani guidati dal Gran Mogol. Hal si schiererà con il primo, combattendo Cumbrae e Schroeder, alleati dell'Islam.

Questo è Uccelli da preda (Birds of Prey), libro di Wilbur Smith, su cui esistono pareri discordanti.

Per alcuni è un testo fantastico, emozionante, fondamentale. Per altri è una ciofeca, un orrido polpettone che non dice niente di nuovo e meritevole di lettura.

Per me è un page turner, l'ottimo pezzo d'artigianato che si lascia leggere con piacere. E' un Salgari riveduto è corretto, il che non è certo poco. Vero, la trama è piuttosto precotta: l'eroe che deve vendicare il padre, il fido aiutante, la maliarda, il cattivo “di livello”, il cattivo pippone...niente di troppo innovativo, originale o trascendente.

Tuttavia, Smith sa scrivere: la trama fila bene ed il tono grandguignolesco si lega bene alle vicende. In primis è difficile parlare di assedi, massacri e violenze in maniera asettica: un po' di sangue, sesso e sbudellamenti. Inoltre, lo scrittore sente le vicende, l'Africa allo stesso tempo fonte di vita e luogo di morte e questa sua passione si trasmette al lettore.

E poi, il meccanismo funziona. Non è facile essere un bravo artigiano ma Smith è un maestro del campo: non dice niente che non abbia detto (ad esempio) l'Emilio con i suoi pirati della Malesia ma la sa fare. E, come detto, sa aggiungere quel sale (morte+sesso) che il lettore moderno apprezza.
Insomma, il testo scorre bene ed invoglia a continuare la saga dei Courteney. Certo, vi è una componente commerciale (più libri letti=più libri venduti=più soldi), ma credo che ci sia anche la passione e l'interesse dello scrittore verso i personaggi.

Insomma, non sarà un pilastro della letteratura mondiale ma Uccelli da preda è serie B di lusso.



Wilbur Smith, “Uccelli da preda”, Longanesi 1997, 684 pp.




domenica 19 febbraio 2012

Philip Roth: sgradevole, controverso, molto bravo



Di recente, Einaudi ha pubblicato per la terza volta “Goodbye, Columbus e cinque racconti”, opera di Philip Roth.

Roth e scrittore abile e premiato (la solita Wikipedia fornisce il palmares) ma poco amato. Suo peccato originale, descrivere senza pietà l'alta borghesia ebraica.

Come un medico, Roth prende il soggetto (gli ebrei americani di classe media) e lo seziona, portando a galla problemi irrisolti come il conflitto tra identità religiosa e civile, i rapporti con la politica, l'oscillare tra voglia d'integrazione e desiderio d'affermazione.

Si prenda ad esempio “Goodbye, Columbus”.

Come prevedibile, è una storia di ebrei. Neil Klugman è un laureato della Rutgers University con un lavoro da bibliotecario. Klugman incontra Brenda Patmkin: anche lei è ebrea, ma di famiglia ricca. Come prevedibile, la famiglia di lei non accetta un fidanzato povero e dalla prospettiva sociale modesta. La storia rivela così il lato oscuro dei borghesi ebrei americani: a parole tolleranti, aperti cosmopoliti, nei fatti amanti del denaro e pronti a disprezzare chi vedono inferiore.

Se “Goodbye, Columbus” è un fioretto, il racconto che fa guadagnare a Roth il soprannome di “Ebreo che odio gli ebrei” è un altro. 
Nel testo un soldato ebreo cerca di evitare la chiamata alle armi tirando in ballo una comunione di fede col sergente Marx suo diretto superiore. Una valanga di temi caldi: la guerra, la religione, il comunismo e, su tutti, un ebreo (il soldato bugiardo), “Furbastro e disonesto”. Abbastanza per suscitare la reazione degli ebrei americani.

Perchè Roth è bravo, ma non è per tutti. Leggerlo è un viaggio non semplice né gradevole anche se il mezzo di trasporto (il linguaggio) è un inglese raffinato, non privo di umorismo e d'ironia.




Philip Roth, “Goodbye, Columbus e cinque racconti”, 247 pagine, Einaudi 2012

sabato 18 febbraio 2012

Quegli eroi conigli di collina

Nella conigliera di Sandleford la vita trascorre tranquilla. Poi Quintilio, coniglio minuto e poco considerato, ha una visione: la conigliera sarà presto distrutta.
Non riuscendo a convincere il coniglio-capo, alcuni conigli decidono di fuggire per conto proprio. Insieme Quintilio partono Moscardo, poi leader del gruppo, Parruccone ed Argento, ex-ufficiali ed appartenenti all'Ausla, casta militare della conigliera, l'intelligente Mirtillo ed il veloce Dente di Leone.

Il loro viaggio non sarà facile: dovranno affrontare le trappole di un cacciatore umano, topi aggressivi ed una natura ostile. Quando poi raggiungono la collina di Watership, terra promessa delle visioni di Quintilio, solo metà del viaggio è compiuto. Il gruppo di conigli esuli è composto da soli maschi: per far sopravvivere la conigliera è necessario trovare delle femmine.


Grazie a Kehaar, gabbiano raccolto e curato, i conigli scoprono la vicina conigliera di Efrafa, retta dal generale Vulneraria e dalla sua Ausla iper-militarista.

I conigli riescono a liberare alcune femmine ed a tornare alla loro conigliera. La loro azione non sfugge agli efrafani ed il Generale Vulneraria (il capo dei conigli di Efrafa) organizza una spedizione contro Watership. Gli rafani, forti e numerosi, attaccano la conigliera e la sua sorte sembra segnata; ma Parruccone resiste tenacemente all'assalto di Vulneraria, e Moscardo salva la conigliera con l'astuzia, aizzando il cane della fattoria contro il generale Vulneraria e la sua Ausla che vengono dispersi e sconfitti.
La coniglia di Watership può allora prosperare.

Questa la trama de La collina dei conigli (Watership down) di Richard Adams.

Nato come favola per le figlie, il testo è ben di più che una storiella per aiutare i bimbi a dormire.

Per cominciare, Adams fa un lavoro simile a quello dei grandi scrittori fantasy, come Tolkien o Le Guin: crea un mondo, con le sue regole e la sua cultura. I conigli hanno la loro lingua (lapino), un dio creatore (il Grande Fritz) con un rapporto di amore-odio col Primo Coniglio(El-Ahrairà), la versione conigliesca della morte (il Nero Coniglio di Inlè).

In sintesi, quello che rende grande “La collina dei conigli” è il trucco, la trasformazione. L'autore prende il coniglio, animale considerato insipido, vigliacco, buono solo come cibo per i forti o compagno per le patate al forno è lo rende protagonista. Lo muta in un EROE, dotato di coraggio, di spirito di sacrificio, di intelligenza: una primadonna con gli attributi giusti per stare al centro della scena. Il lettore va avanti e tifa per Moscardo, Parruccone, Quintilio e compagnia.

Non a caso il romanzo è stato paragonato ad un racconto di viaggio, come l'Eneide o i racconti epici della conquista del West. Le regole ci sono tutte: la patria-sicurezza persa, la ricerca di una nuova casa, ostacoli, difficoltà e tradimenti e poi, il nuovo luogo dove stabilirsi.

Ancora una volta, il mago Adams ha successo: l'attacco di un gatto domestico o l'attraversamento di un fiume diventano l'equivalente delle lotte di Enea contro le popolazioni del Lazio o il passaggio del deserto da parte della carovana di coloni.

Il legame con i conigli-eroi è così forte da provocare sdoppiamento nel lettore: la sua parte “esterna” vede il tutto come risibile (un gatto domestico non è un gran che come mostro) quella interna sente il pericolo come: per il lettore-coniglio, un gatto è un nemico temibile.

E come le vicende descritte, il percorso dei conigli va oltre la sopravvivenza meccanica e, grazie alle visioni del profeta Quintilio, prende una dimensione quasi mistica, di necessità soprannaturale.

Infine, il libro ha dato origine al cartone animato Disney, dallo stesso nome. A differenza di altri cartoni animati, la versione de La collina dei conigli descrive lo spirito dell'opera, tra ironia e momenti di tensione.

Per chi fosse interessato, ecco la prima parte







Su Youtube trovate l'opera completa


domenica 12 febbraio 2012

Gli occhi come specchio dell'anima. E' lunga la storia della fisiognomica



Secondo la lingua italiana, la fisiognomica, (detta anche fiṡiognomonìa o fiṡiognomònica) è “Arte, già nota agli antichi, che, studiando la correlazione tra il carattere e l’aspetto fisico della persona, si propone di dedurre le caratteristiche psicologiche degli individui dal loro aspetto corporeo, in particolare dai tratti del viso”. (treccani.it)

Per capire meglio, può essere utile leggere “Storia della fisiognomica. Arte e psicologia da Leonardo a Freud”, di Flavio Caroli.

Il testo è un viaggio nella storia della disciplina, dove il messaggio è supportato da diverse prove documentali e dove il viaggio è viaggio nel pensiero occidentale.

L'inizio è con Aristotele ed il suo Trattato nel VI secolo a.C.

Tuttavia, il passo decisivo è più tardi, con Leonardo da Vinci. E' Leonardo ha mettere alcuni punti fermi, come l'importanza degli occhi come specchio dell'anima. E' Leonardo che pone in essere tecniche d'indagine che dureranno fino alla modernità. E' Leonardo che lega la fisiognomica alla pittura. Nei secoli successivi ci si muoverà nella sua scia, pur non senza originalità. Così, 

Cartesio ('700) unisce fisiognomica e riflessione filosofica mentre Cardano ('500) sceglie un approccio più asettico e scentifico.

Tuttavia, il secolo d'oro della disciplina è l'800. La fisiognomica si fissa nella materia grazie a pittori come Van Gogh e fa parte del lavoro del maestro Freud, che la inserisce nel “Interpretazione dei sogni”.

Il Novecento è il tempo del tramonto: la fisiognomica entra nella pittura realistica di Pollock, ma smette di esistere come scienza propria, le sue conoscenze travasate nella moderna psicanalisi.



Flavio Caroli,“Storia della fisiognomica. Arte e psicologia da Leonardo a Freud”, 286 pp., 2012



giovedì 9 febbraio 2012

Zigulì. Una storia bella e terribile




Ad incuriosirmi, un articolo del Corriere della Sera online. Lo lessi in maniera superficiale, ma mi rimase in testa l'idea di un padre che racconta la disabilità del figlio in maniera dura, disincantata, cinica.

Così ho letto il libro “Zigulì. La mia vita dolceamara con un figlio disabile”, di Massimo Verga. L'opera di Verga, è autobiografica, centrato sul rapporto con il figlio Moreno, cerebroleso.

E' una storia terribile.

Le pagine buttano la disperazione di un padre con un figlio, che può solo peggiorare. Le difficoltà, le tensioni, la paura del futuro (dove il bambino dovrà appoggiarsi ai suoi due fratelli) si alternano ai momenti in cui si stacca, ci si anestetizza (forse) col cinismo.

Infatti, lo stesso titolo è ispirato ai problemi di Moreno: “...perché lui non può vedere e ha il cervello grande come una Zigulì...” che spesso divorano l'autore: “Quando urli così non ho scelta. O ti sbatto in camera e chiudo la porta, oppure ti prendo a sberle. Quasi sempre finisci in camera. La ritengo una conquista”. Nessuno sconto anche dal lato fisico: “Odori per lo più sgradevoli, sapori che mi hanno fatto vomitare, immagini che i miei occhi non avrebbero voluto vedere”.  L'onestà dell'uomo è quasi troppo eloquente: "Moreno incarna l'idea del figlio che nessuno vorrebbe avere".

Non è sempre facile leggere, e prendere atto di una realtà al limite del sopportabile, dove la sofferenza è palpabile. I tentativi di sdrammatizzare, con rimandi alle disavventure dell'Inter, funzionano poco perché, come ammette Verga, “come dico sempre, da zero a dieci, continuo a essere incazzato undici”.

Ma è una bella storia. 

E' bella perché la forma invoglia la lettura e, soprattutto, perchè il contenuto e' REALE, senza censure ed abbellimenti. La situazione italiana tende a presentare la sofferenza, il dolore e la malattia come qualcosa di positivo, la cura di un disabile grave come un momento di gioia.

Il libro spazza via le ipocrisie, le favolette e gli auto-convincimenti: la cura di un familiare disabile grave ti divora, ti colpisce con problemi quotidiani, dove le sconfitte sono laceranti e le vittorie sono limitate, rari momenti di gioia, come “Quella fotografia che non mi abbandona mai, quella che ci ritrae quando ci rotoliamo su un prato, mentre ce ne fottiamo del mondo che se ne fotte di noi”.

E dove l'amore è qualcosa di delicato è difficile, in quanto "Con Moreno è come camminare in un prato pieno di margherite: non sai dove mettere i piedi, per paura di schiacciarle".

Si dice che un libro sia valido che lascia qualcosa: allora, Zigulì ha sicuramente qualcosa da dare, anche se il “qualcosa” non è per forza piacevole.



Massimiliano Verga, “Zigulì. La mia vita dolceamara con un figlio disabile”, Mondadori 2012


domenica 5 febbraio 2012

Giuseppe Petrosino, poliziotto italiano ma non troppo


Giuseppe “Joe” Petrosino è stato un emigrante italiano, famoso per essere stato a capo dell'Italian Squad della polizia di New York e per portato alla luce i legami tra criminalità organizzata negli USA e mafia italiana. Come spiegato su Wikipedia, la sua è stata una vita breve, ma avventurosa.

Petrosino è anche il personaggio principale di “Petrosino ed i baffi a manubrio”.

Di per sé, la trama spinge forte sul pedale dell'avventura. Petrosino ed i suoi colleghi dell'Italian Squad devono affrontare la Mano Nera, implicata nel traffico illegale d'oro. A fare da cattivi sono i baffi a manubrio, i moustache pietes, prototipi dei mafiosi moderni. Tali pittoreschi delinquenti vengono affrontati con scontri all'arma da fuoco. La vicenda finale, la corsa per evitare l'attentato al teatro, è degna del miglior film o telefilm americano fracassone.

Messo così il libro sembra solo un'avventura fracassona, un'americanata tutta azione e violenza. Ma non è così, e Signoroni offre diverse chiavi di lettura.

La prima è politica, e descrive l'evoluzione della Mano Nera. 
 
Da banda di manigoldi da strada, che usano la forza per piegare i poveri italoamericani, diventa organizzazione di delinquenti industriali, capaci di infiltrarsi tra la società americana “bene”. I suoi membri sono a casa sia negli squallidi vicoli della Little Italy che nei salotti della borghesia americana. La natura folkloristica dell'organizzazione viene presto dimenticata, in nome di una maturità ed una mentalità industriale. Al mutamento sulla natura delle bande italo americane si lega la critica politica alla società, le cui disuguaglianze favoriscono l'illegalità. 

E poi, la figura di Joe Petrosino, con la domanda: è un poliziotto italiano o no?
La mia risposta è più no che si.

Certo Petrosino ama la buona cucina, ha una sorta di religiosità (o scaramanzia di fondo), non è privo di una sorta di sensibilità di fondo. Fin qui, niente da dire, siamo nella scia dei vari Montalbano/carabinieri di Don Matteo/ protagonista delle fiction di Mediaset e Rai.

Tuttavia, Petrosino è altro: un individuo spietato e crudele, che agisce come i delinquenti che arresta, che non si fa scrupolo di torture un sospettato per ottenere informazioni. Il suo è un mondo senza compromessi, dove “Chi ha pietà del lupo condanna l'agnello”, il che lo rende distante anni luce dal poliziotto italiano, bonario.


Secondo Signoroni, “Petrosino ed i baffi a manubrio”, Mondadori 1978


giovedì 2 febbraio 2012

Il colore venuto dallo spazio. L'horror che non è un horror




New England, una tranquilla vallata, tra boschi incontaminati, prosperosi frutteti e belle fattorie.

Uno strano meteorite precipita nel pozzo della fattoria di Nahum Gardner e della sua famiglia.
Subito, il meteorite manifesta la sua influenza: mele e e pere crescono a dimensioni innaturali, gli animali del bosco mutano, la primavera vede la comparsa di piante innaturali.

Poi la situazione peggiora. La mutazione della vegetazione si radicalizza, e la famiglia Gardner diventa sempre più instabile, i loro sensi propensi verso strane informazioni. La loro fattoria viene evitata, il solo il vicino Ammi Pierce rimane testimone delle sparizioni e della pazzia dei Nahum e dei familiari. 

Proprio Ammi, costretto a ritornare sul posto con medico e polizia, si rende conto della verità. Il meteorite ha trasportato sulla Terra un... qualcosa (“Un colore”) che si è nutrito fisicamente e mentalmente di uomini animali e piante. Sotto la sua influenza, gli alberi hanno dato frutti marci e sono mutati, gli animali sono impazziti ed i Gardner hanno prima perso il senno poi il corpo, riducendone a carcasse con solo un barlume di vita.

Nel finale, il Colore torna negli spazi che l'avevano generato, ma lascia nel territorio qualcosa di sé, marchiandolo per sempre.

Questa in breve la trama de “Il colore venuto dalla spazio”, racconto di Howard Phillips Lovecraft scritto nel marzo del 1927.
Forza del racconto sono le contrapposizioni, la capacità di uscire dagli schemi.
Per cominciare il protagonista del racconto, l'entità spaziale. E' un alieno veramente tale. A differenza di Predatori-cacciatori rasta palestrati o omini verdi interessati alle donne terrestri, il Colore è veramente impersonale ed incomprensibile per la razza umana.
Per quanto le sue azioni siano simili a quelle delle creature terrestri (il controllo del territorio e la ricerca di prede) sono compiute in maniera impersonale: eventuali moventi morali ed intellettuali sono ignoti.
A tale distacco emotivo fa fronte l'evolversi della vita dei Gardner, descritto con passione e dettaglio. 
Man mano che la storia avanza, il decadimento della fattoria e dei suoi abitanti diventa sempre più drammatico. Quella che era una gradevole zona pastorale si ridurrà in una “Landa folgorata” dove regnano la morte e la pazzia.
E questo porta all'ultima grande differenza. 
La storia inizia con un tono scientifico piuttosto asettico. Il narratore è un tecnico arrivato sul posto per dei rilevamenti e l'analisi iniziale del meteorite cerca di ricalcare il linguaggio dei documenti ufficiali. 
 Poi, irrompe il dramma e la disperazione di chi (prima Nahum, poi Ammi) vede il proprio mondo cadere a pezzi, i propri familiari ed amici ridotti a folli la cui carne marcisce giorno dopo giorno.
Disperazione umana contro azioni alieni, rigore scientifico contro sentimenti che feriscono. “Il colore venuto dallo spazio è horror atipico: forse al confine con la fantascienza, sicuramente di qualità.

Il Colore venuto dallo spazio. The Colour Out of Space, 1927