Ad incuriosirmi, un
articolo del Corriere della Sera online. Lo lessi in maniera
superficiale, ma mi rimase in testa l'idea di un padre che racconta
la disabilità del figlio in maniera dura, disincantata, cinica.
Così ho letto il libro
“Zigulì. La mia vita dolceamara con un figlio disabile”, di
Massimo Verga. L'opera di Verga, è autobiografica, centrato sul
rapporto con il figlio Moreno, cerebroleso.
E' una storia terribile.
Le pagine buttano la
disperazione di un padre con un figlio, che può solo peggiorare. Le
difficoltà, le tensioni, la paura del futuro (dove il bambino dovrà
appoggiarsi ai suoi due fratelli) si alternano ai momenti in cui si
stacca, ci si anestetizza (forse) col cinismo.
Infatti, lo stesso
titolo è ispirato ai problemi di Moreno: “...perché lui non può
vedere e ha il cervello grande come una Zigulì...” che spesso
divorano l'autore: “Quando urli così non ho scelta. O ti sbatto in
camera e chiudo la porta, oppure ti prendo a sberle. Quasi sempre
finisci in camera. La ritengo una conquista”. Nessuno sconto anche
dal lato fisico: “Odori per lo più sgradevoli, sapori che mi hanno
fatto vomitare, immagini che i miei occhi non avrebbero voluto
vedere”. L'onestà dell'uomo è quasi troppo eloquente: "Moreno incarna l'idea del figlio che nessuno vorrebbe avere".
Non è sempre facile
leggere, e prendere atto di una realtà al limite del sopportabile,
dove la sofferenza è palpabile. I tentativi di sdrammatizzare, con
rimandi alle disavventure dell'Inter, funzionano poco perché, come
ammette Verga, “come dico sempre, da zero a dieci, continuo a
essere incazzato undici”.
Ma è una bella storia.
E' bella perché la forma invoglia la lettura e, soprattutto, perchè
il contenuto e' REALE, senza censure ed abbellimenti. La situazione
italiana tende a presentare la sofferenza, il dolore e la malattia
come qualcosa di positivo, la cura di un disabile grave come un
momento di gioia.
Il libro spazza via le ipocrisie, le favolette e
gli auto-convincimenti: la cura di un familiare disabile grave ti
divora, ti colpisce con problemi quotidiani, dove le sconfitte sono
laceranti e le vittorie sono limitate, rari momenti di gioia, come
“Quella fotografia che non mi abbandona mai, quella che ci ritrae
quando ci rotoliamo su un prato, mentre ce ne fottiamo del mondo che
se ne fotte di noi”.
E dove l'amore è qualcosa di delicato è difficile, in quanto "Con Moreno è come camminare in un prato pieno di margherite: non sai dove mettere i piedi, per paura di schiacciarle".
Si dice che un libro sia
valido che lascia qualcosa: allora, Zigulì ha sicuramente qualcosa
da dare, anche se il “qualcosa” non è per forza piacevole.
Massimiliano Verga,
“Zigulì. La mia vita dolceamara con un figlio disabile”,
Mondadori 2012
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